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09-12 ott. 2020

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con la co-organizazzione

del Comune di Sacile

PALAZZO RAGAZZONI

Appena fuori dell’antica cinta murata di Sacile si alza sull’acqua il palazzo Ragazzoni. Il nome del palazzo deriva da quello di una famiglia della borghesia commerciale veneziana che vi ha abitato e che lo ha abbellito e reso interessante.
Il palazzo occupava la parte più avanzata verso il centro cittadino di una vasta tenuta agricola estesa nel territorio suburbano di S. Odorico. L’azienda era strutturata in feudo, come patrimonio statale concesso in gestione ai privati con il pagamento di un canone e con il giuramento di fedeltà al sovrano.

La natura feudale risaliva ancora ai tempi dell’impero romano d’Occidente ed il potere di assegnare il godimento dei terreni era stato trasferito ai patriarchi d’Aquileia, come vicari imperiali. I patriarchi esercitarono questo diritto fino a quando Venezia sottrasse loro il Friuli. Composte le vertenze con la curia patriarcale, anche il feudo di S. Odorico passò nel patrimonio del Dominio veneto. Da allora il doge concesse la titolarità del feudo a diverse famiglie fino a darla a due straordinari esponenti della borghesia commerciale di Venezia, Giacomo e Placido Ragazzoni.


Di rilevante interesse per la conoscenza del palazzo conosciuto oggi come Flangini-Biglia è il racconto delle vicende che hanno caratterizzato la vita di uno dei suddetti fratelli, cioè in particolare di Giacomo Ragazzoni.
Questi si recò in giovanissima età a Londra ed entrò in amicizia prima con il re Enrico VIII e poi con il successore Edoardo VI. Favorito dal fatto che l’altro fratello Vettor, che si era fatto prete, stava alla corte papale, a Giacomo capitò di svolgere un’azione diplomatica discreta per riportare l’Inghilterra al cattolicesimo. L’occasione si presentò con la successione al trono di Maria Tudor, figlia dello scismatico Enrico. Giacomo si trovò anche a condurre le trattative per il matrimonio della regina con Filippo II di Spagna. Il felice esito del contratto ebbe il coronamento con il privilegio concesso a Giacomo di potersi creare uno stemma con i simboli araldici della famiglia reale. Richiamato in Italia dagli obblighi familiari, Giacomo riuscì ad avviare a Venezia una fortunatissima carriera commerciale: si interessò di forniture navali e di commercio del grano in tutto il Mediterraneo, aiutato in questo dal fratello Placido. Conquistò il monopolio nel commercio dell’uva passa e le navi, che trasportavano le forniture di questo genere dalle isole dell’Egeo al mercato di Londra, erano di stazza così rilevante da non poter risalire il Tamigi, ma dovevano essere scaricate sul canale della Manica.

 

Ragazzoni si riforniva soprattutto dai territori soggetti all’impero turco, favorito anche dal fatto che uno zio era vescovo di Famagosta nell’isola di Cipro. Morto lo zio, gli era succeduto come vescovo un altro fratello di Giacomo, quel valentissimo Gerolamo che appena trentenne ebbe l’incarico di concludere il Concilio di Trento e di applicarne le decisioni in collaborazione di S. Carlo Borromeo. Giacomo e Placido stavano intensificando la loro attività nelle basi navali siciliane, quando furono coinvolti in un gioco diplomatico condotto in segreto dal governo veneziano. Tutto il mondo cristiano era stato chiamato dal papa a lottare contro il sultano di Costantinopoli ed a Roma le varie potenze cattoliche stavano stringendo una lega militare. Venezia, che partecipava ufficialmente al tavolo delle trattative, non intendeva però compromettere i traffici con i musulmani ed escogitò di tentare un approccio con il sultano, utilizzando Giacomo come mediatore, che, svolgendo questo incarico, riuscì ad accumulare grandi quantità d’oro. Portò gli accordi quasi alla conclusione, quando a Roma si venne a conoscenza della missione e Venezia non ebbe la benché minima difficoltà di sconfessare l’agente segreto. Giacomo, però, riuscì a salvarsi, anzi lo stesso sultano lo utilizzò come suo ambasciatore per portare a Venezia la dichiarazione di guerra ed il seguito degli eventi portò alla vittoria cristiana a Lepanto.


Esauriti questi incarichi pubblici, Giacomo Ragazzoni si dedicò al rafforzamento delle fortune patrimoniali della famiglia anche con l’acquisizione della proprietà di circa 730 campi, parte prativi e parte arativi, nel territorio di Sacile e con l’acquisto per 30.000 ducati nella stessa prediletta città del palazzo di Tobia Ottoboni. Ristrutturò profondamente l’immobile e si dedicò alla sistemazione del vicino ponte per rendere più deliziosa e comoda la dimora. Per rendersi gradito alla amministrazione della Comunità locale sistemò il porto sul Livenza, come pure fu largo nella sovvenzione di un prestito senza interessi per l’acquisto di granaglie in tempi di carestia. Ad altre case e broli nella piazza sacilese associò almeno otto edifici industriali destinati a mulini, folli da panni, cartiere e battiferri per spade.
L’operazione più significativa restò comunque l’acquisizione del godimento, assieme al fratello Placido, di 322 campi, della cancelleria amministrativa e d’un antico maniero in rovina, che costituivano appunto il feudo di S. Odorico, sborsando 6.000 ducati al possessore Pompilio di Porcia. Il feudo, posto fra il Denegal e la Fossetta, era stato assegnato dal patriarca Bertoldo nel 1237 a Corrado ed Enrico Pelizza. Dopo la conquista veneziana del Friuli, il feudo trasmigrò nella famiglia dei Porcia, per passare così ai Ragazzoni. Venezia, sentendosi obbligata verso di loro, approvò il passaggio della titolarità e la decorò della elevazione a contea, prerogativa che apriva alle donne di casa Ragazzoni la possibilità di contrarre matrimoni con esponenti del patriziato. Dalla titolarità del feudo derivarono per i Ragazzoni anche il diritto di sedere fra i castellani del Parlamento della Patria del Friuli ed il dovere di contribuire, in caso di guerra, al mantenimento della cavalleria dell’esercito veneto, nonché l’obbligo di offrire ogni anno alla chiesa ducale di S. Marco un cero di dieci libbre.


Il possesso di S. Odorico aprì nuove prospettive all’attività di Giacomo. Si andò interessando all’agricoltura, all’allevamento bovino nella piana del Cansiglio ed alla intensificazione dell’industria molitoria sulle rapide del Livenza. Si dedicò con particolare cura al palazzo per renderlo confortevole ai figli che in numero di quindici gli stavano attorno. La casa aveva raggiunto un tale agio, che fu destinata ad ospitare Enrico III, quando lasciò il trono di Polonia per raggiungere quello di Francia. Il passaggio del re per Sacile è un episodio della più spettacolare visita di stato mai avvenuta durante la storia della Repubblica Veneta. Enrico, figlio di Caterina de Medici, incontrò Sacile, dove Giacomo ospitò centinaia e centinaia di persone. Musiche e danze furono organizzate in quella occasione e non furono infondate le notizie di viziosi divertimenti goduti dal re e pagati con la cessione di basi militari francesi in Piemonte. Caterina de Medici fu informata che il figlio dava segni di depravazione e quindi richiese espressamente la vigilanza di Giacomo per impedire altri scandali, almeno in pubblico. Ragazzoni svolse il compito con discrezione e tatto durante tutto il successivo viaggio di Enrico. Accompagnò il giovane fino a Ferrara e lo consegnò nelle mani degli inviati della regina. Il comportamento di Giacomo fu così accorto, che si meritò la stima dello stesso Enrico. Il re lo invitò alla cerimonia dell’incoronazione. Ci andò invece Placido che ricevette dalle mani reali il privilegio di aggiungere allo stemma di famiglia i gigli di Francia.
In seguito Giacomo rimase implicato (ancora una volta come agente segreto del governo di Venezia) in affari, poco chiari, di forniture d’armi ai Paesi Bassi in rivolta contro Filippo II di Spagna.
flangini


Il governo di S. Marco utilizzò ancora il palazzo dei Ragazzoni per ospitare Maria d’Asburgo.
I fatti del passato si trasformarono sempre più in esaltanti ricordi e diventarono argomento di esaltazione in un ciclo di affreschi dipinti da Francesco Montemezzano, artista estroso e dotato di mano sicura. La vita di Giacomo fu rappresentata nei momenti più felici, mentre gli anni e gli eventi la rendevano sempre più difficile ed amara. Al degrado fisico di una paresi si aggiungevano per Giacomo i dispiaceri di non vedere nel figlio Benedetto una qualche prospettiva di maggiori successi (tra l’altro questo figlio gli morì in età giovanissima). Tutte le speranze del vecchio Giacomo si riversarono in un nipotino, che portava lo stesso nome del nonno e che, diventato adolescente, trascinò la famiglia nella vergogna. Morto il gran vegliardo Giacomo, morti tutti gli altri Ragazzoni della vecchia generazione, il nuovo Giacomo si alleò con i peggiori bravacci e si mise in avventure con un prete famoso per le ribalderie. Il palazzo, che aveva ospitato comitive festose ed eleganti, si riempì spesso delle urla disperate di ragazze rapite. Dovettero intervenire i tribunali di Venezia e l’erede dei Ragazzoni fu messo al bando, con la condanna a morte se fosse rientrato a Sacile. Il giovane riuscì per qualche tempo a nascondersi nei boschi delle vicine montagne, ma poi dovette espatriare e trovò la morte in un’osteria di Mantova.
Il feudo di S. Odorico ritornò a disposizione del governo ducale e finì per essere assegnato ad una famiglia di armatori levantini: i Flangini.
Con i nuovi padroni
il palazzo fu onorato dal soggiorno di Papa Pio VI, che passò per Sacile in assoluta modestia durante un viaggio per Vienna.
Nel palazzo di Sacile ebbe anche il suo quartier generale Napoleone Bonaparte, prima di sferrare il colpo decisivo sull’esercito austriaco.

[Giorgio Zoccoletto - tratto da "Le Tre Venezie" del Maggio 1997]

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